La più antica attestazione di produzione ceramica in Costa d’Amalfi risale al Neolitico, quando, circa 8000 anni fa, uomini primitivi realizzarono scodelline di terracotta, poi ritrovate negli anni ’50 del secolo scorso nella grotta La Porta di Positano.
Per poter assistere alla produzione di vasi e grossi recipienti bisognerà attendere l’epoca imperiale romana. Così numerose sono le attestazioni storiografe soprattutto di Matteo Camera insieme ai ritrovamenti di vasellame, dolea per il vino, piatti effettuati ad Agerola, Tramonti, Minori, in particolare nell’ambito o nei pressi di ville rustiche o marittime. Inoltre, nell’area di Tramonti abbondava allora come abbonda tuttora la creta rossa di antichissima formazione geologica; lì il toponimo Figlino la dice lunga circa la produzione fittile locale: infatti esso deriva da figulinus, termine latino che indicava il vasaio. Ancora nel XVI secolo veniva affermato che mediante la creta di Tramonti si facevano piatti “più belli che quelli di Faenza”, quest’ultima località emiliana è celebre per le sue ceramiche.
Frammenti di ceramica romana di età repubblicana sono venuti alla luce durante gli scavi di alcune tombe del XV secolo, ubicate in un ambiente sottoposto alla chiesa di S. Maria Maggiore di Amalfi (oggi Oratorio di San Filippo Neri). Ci chiediamo quale relazione possa esservi stata tra il luogo di ritrovamento e le tracce di una villa romana collocata a poche decine di metri di distanza.
Fornaci e laboratori per la ceramica esistevano di certo in Amalfi nel corso del Medioevo. Nel 1390 viene chiaramente indicata una domus urbana, allora di proprietà della nobile stirpe dei Capuano, ma che due secoli prima era stata dei Collogatto, nel contesto della quale operava, quale locatario, Andrea da Eboli, che si definiva cretarius. In quegli ambienti abbiamo di recente scoperto un forno databile al XIV secolo. Eboli doveva essere nel Medioevo una terra dove si formavano maestranze che lavoravano la terracotta e la ceramica: un’ulteriore prova a riguardo è fornita dalla testimonianza di un Pietro di Eboli magister figulinus operante nel 1090 a Salerno. L’area urbana di Amalfi dove stava il forno di Andrea da Eboli si chiamava Resina; il caseggiato che si sviluppava intorno era abitato in particolare da personaggi, in buona parte ravellesi, che si definivano magistri. Ancora oggi il sito è noto come La Faenza: questa è una conferma del fatto che lì furono attivi vari ceramisti per alcuni secoli. D’altronde faenzere erano chiamate le fabbriche di ceramica di Vietri almeno sin dal XVIII secolo.
Ceramiche medievali prodotte in loco o provenienti dal mondo arabo sono tuttora evidenti sulla cella campanaria del campanile della cattedrale di Amalfi (maioliche gialli e verdi), nonché a forma di scodelle con qualche iscrizione cufica in S. Giovanni del Toro di Ravello; sempre in quella città, nella Villa Rufolo, fu scoperto un frammento di tubazione idrica in terracotta addirittura invetriata all’interno.
La scuola vietrese settecentesca produsse poi meravigliosi pavimenti ceramici artistici, presenti in S. Luca di Praiano, S. Biagio e SS. Trinità di Amalfi, S. Pietro di Figlino a Tramonti; in quest’ultima chiesa spicca per la definizione dei particolari e il caratteristico gioco cromatico la scena di un combattimento fra pavoni. Nell’Ottocento la medesima scuola vietrese, che un secolo dopo sarà interessata anche da maestranze tedesche, realizzò le spettacolari cupole maiolicate delle chiese maggiori di Vietri, Cetara, Maiori, Vettica Maggiore, Positano.
Ancora oggi, in occasione di violente mareggiate, le onde salse riportano sulle marine della Costa frammenti ceramici invetriati di tutte le epoche, dal Medioevo al secolo passato.